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Spicchi di Realtà

 

 

Parassita di Emozioni

 

Lei era fatta così.

Viveva nutrendosi con le emozioni degli altri. Colmando con esse la propria anima vuota.

Non rielaborava le sensazioni che la gente attorno a lei le trasmetteva. Non le faceva sue, rivisitandole attraverso il proprio cuore. Perché un cuore lei non l’aveva. Si limitava a divorare avidamente le immagini ricche di colori, brillanti di gioia o sbiaditi di lacrime, che le persone dipingevano per lei sulla tela della propria anima. Lei se ne appropriava. Come un volgare ladro di quadri.

Aveva imparato a comportarsi in questo modo, perché aveva almeno capito come gli individui migliori siano quelli capaci di gioire e di soffrire, di vivere la vita percependola profondamente. Gustandone i sapori, dolci e amari. Mentre lei non sentiva nulla. Calma piatta. Niente gioia, nessun dolore.

Aveva allora cominciato ad osservare ed invidiare le emozioni di chi, per un motivo o per l’altro, le ruotava attorno. Catturava l’attenzione di costoro mostrando ciò che in realtà non aveva. Ed era diventata brava in questo. Distribuiva lacrime in abbondanza a chiunque le raccontasse un fatto triste, dando l’impressione di una profondità d’animo non comune. Elargiva parole che incantavano immagini statiche, come fossero fotogrammi distillati da film diversi. Figure che non si srotolavano in alcuna direzione, non avevano il filo conduttore tipico del percorso di maturazione di un’anima. Parole rubate a cui lei non attribuiva alcun peso, perché non era capace di assegnare loro il benché minimo valore.

Lei era fatta così.

Un’egoista con la maschera dell’altruista. In tal modo riusciva ad apparire come un vaso rotto il cui bellissimo contenuto era andato disperso. E negli altri tutto questo faceva sbocciare il desiderio di reincollare i pezzi di quel recipiente, per dare modo alla preziosa essenza di ritrovare la propria compattezza, la propria continuità, il proprio luogo d’origine. La propria identità.

Tutto questo era diventato il suo nutrimento, la linfa da cui traeva vita la sua misera esistenza di emozioni pallide come il riflesso di uno specchio antico.

Ma, presto o tardi, tutti si rendevano conto della sua vera natura. Così la lasciavano al suo destino e a quel suo modo quantomeno bizzarro di affrontare la vita e di relazionarsi con il mondo.

Per questo non avrebbe mai saputo cos’è l’amore. Perché non era in grado di entrare in simbiosi con un’altra anima. Una simbiosi basata sullo scambio reciproco di sensazioni, sentimenti, impressioni, pensieri.

Ogniqualvolta qualcuno si allontanava da lei, lei si limitava a scrollare le spalle con indifferenza e a passare oltre, a conoscenze sempre nuove, a nuove possibili vittime cui avvinghiarsi per succhiare, come un parassita, le emozioni che non era in grado di provare. Né di regalare.

Lei era fatta così.