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Spicchi di Realtà

 

 

La Mamma e il Bambino

 

Era tanto tempo che non tornavo più nella città in cui sono nato e nella quale ho vissuto per oltre trent’anni della mia vita. In realtà non abito poi cosi lontano, quaranta chilometri appena, da non poterci venire più di frequente. Semplicemente non ho occasioni particolari per farlo. Tranne oggi.

La mia Milano. Quanti ricordi sono evocati dai clacson delle vetture, dal rumore caotico del traffico, dallo sferragliare dei tram. Un’onda di emozioni mi assale appena scendo dal treno delle Ferrovie Nord Milano. Un treno da Far West, come dico spesso ridendo. In effetti mancano solo le frecce, scagliate dagli archi dei pellerossa durante un qualche attacco ai visi pallidi e piantate nel legno dei vagoni attorno ai finestrini.

Ho viaggiato con il treno perché il luogo in cui devo recarmi è a pochi metri dalla Stazione di P.zza Cadorna. Sarebbe stato masochismo puro venirci con l’automobile. Non tanto per il viaggio, che già in sé sarebbe stato allucinante, quanto per la ricerca di un parcheggio. Meglio quindi il mezzo pubblico.

Mentre attraverso la strada guardo già il portone del palazzo presso il quale ho il mio appuntamento. Un’occhiata all’orologio mi conferma che sono in anticipo. Ho almeno il tempo per fare un giretto, per immergermi nella folla di gente frettolosa e indaffarata, per tornare a vivere il gusto della vita frenetica della grande metropoli. Una donna, forse filippina, mi viene incontro spingendo una carrozzina con dentro un marmocchio. Mi fissa per un istante negli occhi. Io ricambio con fermezza il suo sguardo. Mi ferma, e io so già cosa vuole. Inizia a parlare, mentre la mia mente sta preparando un rifiuto.

“Posso farti una domanda?”, mi chiede. Ha negli occhi una luce di rassegnata speranza. Gli anni passati a fermare in quel modo gente diffidente le hanno insegnato a leggere sui visi, tra le pieghe di sorrisi compiacenti o di smorfie sdegnose.

“Se so rispondere...”, dico con tono lievemente ironico.

“Te lo chiedo come a un fratello”, prosegue. Dai suoi occhi è sparita la rassegnazione ed è rimasta solo la speranza. Forse ritiene già un grosso successo il fatto che io l’abbia almeno degnata di un minimo di considerazione.

“Mi compri dei pannolini per mio figlio?”, continua la donna indicandomi la farmacia che si trova alle mie spalle.

Il rifiuto che avevo pensato sale veloce alle mie labbra, prima ancora che le sue parole mi arrivino al cervello e scendano al cuore, prima che tocchino corde diverse da quelle solitamente fatte vibrare dalle pretese di qualche spicciolo. Bastano due passi e la folla si richiude attorno a noi, separandoci. Frazioni di secondo, nelle quali infine realizzo che la preghiera appena ricevuta era una sincera richiesta d’aiuto.

Quella mamma aveva calpestato il proprio orgoglio. Non voleva soldi, voleva direttamente qualcosa di necessario per il suo bambino. Mi giro, torno sui miei passi, voglio correggere quello che adesso riconosco come un errore. In fondo, quanto mi può costare un pacco di pannolini? Ma non vi è più traccia della donna. Sembra che la folla l’abbia ingoiata.

Chissà se qualcun altro, meno pronto di me a presentare un rifiuto, porrà rimedio al mio sbaglio?