Home

Biografia

Ingegneria

Pubblicazioni Tecniche

Narrativa

Racconti

Romanzi

Concorsi

Foto

Contatti

News


  Racconti

 

Racconti Vari

 

 

Giallo nel Giallo

 

L’uomo dalla pelle gialla cammina tranquillo lungo la via Rosmini, in quella parte di Milano un tempo nota come “el bürg di scigulat” perchè anticamente la zona era occupata da vasti campi di cipolle. Ma in seguito aveva assunto una denominazione più sinistra, anche se più consona allo stile di vita che lì veniva condotto, e di sicuro maggiormente in linea con il nome dato dagli Americani agli analoghi quartieri delle loro metropoli: Chinatown.

A questo pensa l’uomo mentre cammina lungo la strada. Alle sue spalle la via Canonica, davanti a lui la via Paolo Sarpi. Chinatown non è ancora molto estesa e forse non si ingrandirà più di così: grosso modo è un pentagono tracciato dalla via Procaccini con il suo angolo di circa centodieci gradi, la via Bramante, un piccolo tratto del viale Elvezia sul quale si affaccia l’Arena di Milano e infine la via Canonica.

Nonostante sia piuttosto giovane, l’uomo ricorda ancora chiaramente quando i visi gialli, pur essendo numerosi, ancora erano una minoranza rispetto ai volti europei.

Ma oggi non è più così.

Oggi i Milanesi, o gli Europei, hanno quasi del tutto abbandonato il quartiere, vendendo case e negozi ai Cinesi.

L’uomo svolta a sinistra nella via Giordano Bruno mentre ricorda quanto poco, alcuni anni prima, aveva pagato per comprare uno scantinato con sopra un negozio nel quale aveva cominciato a vendere a basso prezzo le borse cucite dai suoi connazionali fatti entrare clandestinamente in Italia e utilizzati praticamente come schiavi nei locali sottostanti.

L’uomo sogghigna ed ha un breve attimo di eccitazione rammentando la ragazzina, poco più di una bambina, costretta ad avere rapporti sessuali con lui ad ogni ora del giorno o della notte; in qualunque momento lui ne avesse voglia. Era rimasta incinta ed era morta di setticemia a seguito di un aborto spontaneo, causato dalle dure condizioni di lavoro. Nessuno se ne accorse o nessuno se ne curò e il cadavere del feto creò l’infezione che poi trascinò la giovane alla morte.

L’uomo dalla pelle gialla porta la mano al viso, prende la sigaretta dalle labbra e sbuffa il fumo nell’aria della città; poi fa una smorfia di stizza mentre svolta a destra nella via Canonica; gli piaceva scopare quel giovane corpo e la morte della ragazza non lo aveva solamente privato del godimento sessuale ma gli aveva anche creato dei problemi con il cadavere; perché i Cinesi non hanno funerali; perché i Cinesi non muoiono. Semplicemente spariscono e i loro documenti vengono usati per far arrivare altri clandestini, aiutati in questo da tratti somatici che agli occhi di un Europeo paiono tutti uguali. Lui non sa come funziona il meccanismo: Sa solamente chi deve contattare in caso di necessità e a chi deve pagare la tariffa per il servizio.

L’uomo adesso è quasi giunto a casa. Getta il mozzicone sul marciapiede e poi sputa rumorosamente il grumo di catarro che gli stringe il respiro. È ormai buio da un pezzo e in giro non c’è quasi nessuno; gli Europei superstiti sono rintanati nelle loro case per tentare di chiudere fuori un mondo che non capiranno mai. Un mondo che mai aveva cercato di integrarsi, amalgamandosi con quello ospite, ma che anzi stava tentando di annientarlo con una estenuante, lunga e paziente lotta silenziosa: una tortura cinese, appunto.

Un mondo lontano non solamente sulla carta geografica.

Il sorriso dell’uomo è ora velato da una sfumatura di trionfo. Negli anni passati il suo popolo aveva cominciato una vera e propria guerra, forse meno cruenta di quelle trasmesse dai telegiornali, una guerra senza bombe né morti tra le due fazioni, ma pur sempre legata alla conquista di territori. Una guerra ancora in corso. Una guerra che loro stanno vincendo. Le grida, le risse, le urla, magari qualche coltellata, non sono mai state rivolte contro gli Europei; i Cinesi gestiscono in casa i litigi e i relativi regolamenti di conti. E le autorità locali non possono fare proprio nulla.

Giunto al portone di casa l’uomo estrae dalla tasca le chiavi e non nota un altro uomo dalla pelle gialla che si sta avvicinando. E quando alza il viso è ormai troppo tardi. Vede solamente il luccichio di un coltello mentre riflette la scarsa illuminazione dei lampioni stradali. Poi sente la lama affondare nello stomaco e subito avverte il calore umido e vischioso del suo sangue colare lungo le gambe già prive di forza.

L’uomo cade in ginocchio, le mani premute contro la ferita mortale, quasi a cercare di impedire alla vita di abbandonare il suo corpo passando attraverso l’orrendo squarcio insieme al sangue rosso vermiglio. Alza gli occhi ormai spenti verso il suo assassino.

“Questo è per mia sorella”, dice semplicemente l’altro ricambiando con odio lo sguardo del moribondo.

Poi si volta e se ne va come era venuto.

Non c’è nessuno in giro. E se anche ci fosse qualche Europeo per le strade e avesse osservato la scena di certo non si immischierebbe nei problemi di quel mondo, perché né lo capisce né lo accetta. Forse nemmeno più lo tollera ed erroneamente penserebbe quindi che un Cinese morto è un Cinese in meno.

Steso sul marciapiede bagnato dal suo stesso sangue l’uomo dalla pelle gialla pensa che anche la sua morte porterà un nuovo clandestino.

Perchè i Cinesi non hanno funerali.

Perché i Cinesi non muoiono.

I Cinesi scompaiono.